Storia del vino

La storia del vino risale alla Preistoria; è così antica da confondersi con la stessa storia dell’umanità. Le prime testimonianze archeologiche registrate di presenza della Vitis vinifera sono state rinvenute in alcuni siti degli odierni territori della Cina (7.000 anni a.C. circa), della Georgia (6.000 a.C.), dell’Iran (5.000 a.C.)], della Grecia (4.500 a.C.) oltre che in Sicilia (4.000 a.C. circa). La prova più antica della produzione di vino (la vinificazione) seriale è stata trovata in Armenia (4.100 a.C. circa) con la scoperta della più antica cantina per la conservazione esistente.

Il temporaneo stato alterato di coscienza riconducibile all’assunzione di vino (comunemente noto come ubriachezza) venne considerato in un ambito religioso fin dalle sue origini. Nell’Antica Grecia si adorò Dioniso e l’Antica Roma ne trasmise il culto tramite la figura di Bacco. Il consumo rituale di vino rimase parte integrante della pratica dell’ebraismo sin dai tempi biblici e, come parte della celebrazione eucaristica (il vino da messa) per commemorare il sacrificio di Gesù sulla croce, diventò ancora più essenziale per le origini del cristianesimo e la Chiesa nascente.

Uva bianca di Soave
Anche se – almeno nominalmente – l’Islam proibì la bevanda alcolica e conseguentemente anche la produzione e il consumo di vino, durante l’Epoca d’oro islamica studiosi di alchimia come Jabir ibn Hayyan (“Geber”) risultarono essere dei veri e propri pionieri nel distillato di vino sia per scopi medicinali sia industriali, ad esempio nella creazione di profumi.

La produzione e il relativo consumo di vino incrementarono costantemente a partire dal XV secolo in poi, nell’ambito delle esplorazioni geografiche. Nonostante la devastante infezione dovuta alla Daktulosphaira vitifoliae nella seconda metà del XIX secolo la scienza e la moderna tecnologia hanno fatto adattare la viticoltura e la produzione industriale di vino praticamente in tutto il mondo.

Il vigneto e il vino sono stati una parte importante delle società fin dall’Antichità, intimamente associati alle loro economie e cultura popolare tradizionale. Il vino è sinonimo di festività, ubriachezza, convivialità; ha investito di sé il vasto campo dei valori simbolici ed è presente tutt’oggi nella maggior parte dei paesi. La sua esistenza è frutto di una storia lunga e turbolenta.

Dalla vite selvatica alla vigna coltivata

Il vigneto domestico e tutte le varietà di vitigno tradizionale provengono dalla vite selvatica Vitis vinifera subsp. sylvestris, che è un tipo di Vitis vinifera rampicante che cresceva ai bordi delle foreste e sulla destra e sinistra orografica delle vallate nelle rive dei fiumi fruttificando in canopia per parecchie decine di metri d’altezza. È ancor oggi molto diffusa nella regione tra il Mar Caspio e l’Oceano Atlantico nel continente europeo, in tutto il bacino del Mediterraneo tranne che in Nordafrica.

Questa vite selvatica era già presente durante il Quaternario (2,58 milioni di anni fa), ma si ritiene che con le diverse glaciazioni susseguitesi si possa essere rifugiata nella regione del Caucaso, ma forse anche altrove. In effetti secondo i dati disponibili della paletnologia durante la glaciazione Würm (125.000-11.430 anni fa) i principali rifugi europei furono la penisola iberica, la penisola italiana e la penisola balcanica.

Molto rapidamente alla fine dell’ultima glaciazione la vite selvatica riconquistò gran parte dell’Europa. I suoi grappoli divennero così disponibili ai suoi abitanti, gli ultimi cacciatori-raccoglitori, che li utilizzavano com’è stato dimostrato dai semi e dai resti carbonizzati presenti in vari siti archeologici.

La vigna selvatica è apparsa prima dell’Homo sapiens ed è ancora presente in territorio europeo, in special modo nei residui forestali alluvionali della valle del Reno.

Nel corso del XIX secolo gli scavi nel travertino del comune di Sézanne hanno rivelato la presenza di fossili di un vitigno dell’era terziaria (il Paleocene (66-56 milioni di anni fa); fu denominato Vitis sezannensis. Questa varietà, scomparsa dalle regioni europee a causa della glaciazione Riss (370-330.000 anni fa), oggi sopravvive nel Sudest del continente americano, ma risulta del tutto inadatta alla vinificazione.

La vite che esistette nel dipartimento di Ardèche dopo la fine del terziario non può essere autoctona in quanto i depositi di foglie fossili di Bacillariophyceae sono stati rinvenuti in strati del Pliocene (5,33-2,58 milioni di anni fa) nei dintorni di Privas[21]; essi povengono da una vite identificata col nominativo di Vitis previnifera Sap[22]. Secondo lo studioso di ampelografia Louis Levadoux questo tipo di vite segna il passaggio tra le viti asiatiche e quella europea in grado di produrre vino.

La storia della vite si fonde con quella del bacino del Mediterraneo. Più di un milione di anni fa i vitigni erano già in crescita sotto forma silvestre selvatica; tali linee selvatiche hanno solo una somiglianza molto remota con le nostre moderne varietà di uva. L’analisi di 154 ceppi di “lambrusco spontaneo” hanno rilevato che le specie silvestri contengono una relativa forma sativa:

  • un sinus petiolare della foglia da piuttosto aperta a molto aperta;
  • una foglia piuttosto intera che va da 11 a 3 lobi;
  • un numero significativo di corti incavi.

Le differenze di morfologia relative al fiore e al frutto sono anch’esse marcate, ma più difficili da osservare perché la loro presenza è effimera; oltre al fatto che le bacche nere della sua uva, presenti solo nelle specie femminili, sono più piccole. Questa vite risulta essere differente anche per altri punti:

Bayer notò nel 1919 che i suoi fiori sono unisessuali (o maschili o femminili, una sottospecie chiamata Dioica), mentre la Vitis vinifera subsp. vinifera (all’origine della vera uva da coltivazione) possiede fiori bissesuati o solo funzionalmente femminili.
Le specie maschili conferiscono al cluster genico floreale dimensioni che raggiungono talvolta i 20 cm, con infiorescenza il cui ginocomo (parte femminile) è atrofizzato ma la cui rete di stami è altresì ben sviluppata e produce polline fertile.
Le specie femminili producono piccoli ramoscelli (al massimo di 10 cm) floreali con un ginocomo ben sviluppato, ma la cui rete riproduttiva è atrofizzata e arrotolata su sé stessa, producendo un polline sterile.
I frutti sono più acidi e amari rispetto a quelli delle uve da vino.
Ogni bacca contiene solitamente 3 semi o “pépin”, a differenza dei 2 in un certo numero di cultivar.
I semi sono sterili con uno strobilo corto, mentre sono a forma di pera con uno strobilo più lungo nelle uve coltivate.
Il fogliame diventa rossiccio con l’approssimarsi dell’autunno.
L’analisi genetica condotta sui microsatelliti ha mostrato una chiara differenziazione tra le vigne coltivate e quelle selvatiche; ha permesso altresì di mettere in evidenza un’altra diversità intercorrente tra la specie selvatica originaria e quella continentale. L’analisi comparativa delle sottospeci silvestre (silvestris o sylvestris, le due ortografie sono ugualmente accettate) e sativa ha rivelato in alcune varietà di uve coltivate la compresenza di molte caratteristiche silvestri; queste includono il “Gros manseng”, il Traminer aromatico e il “Piccolo Arvine”.

Lo studio ha anche mostrato che le cultivar francesi sono più vicine ai lambruschi spontanei francesi rispetto alle viti straniere dell’Europa meridionale e dell’Europa centrale.

Fonte: wikipedia