Cucina Abruzzese

CUCINA ABRUZZESE | VINI ABRUZZESI

La cucina abruzzese è la tradizionale cucina dell’Abruzzo; è originaria dalle tradizioni sia pastorali delle zone interne montane che marinare della zona costiera; tra gli alimenti più utilizzati troviamo: il pane, la pasta, la carne, formaggi e il vino. L’isolamento che per decenni ha caratterizzato la regione ha fatto sì che quest’ultima mantenesse un’arte culinaria viva ed indipendente.

Tra i prodotti abruzzesi che sono entrati nell’immaginario collettivo di tutto il mondo troviamo i classici confetti di Sulmona, lo zafferano dell’Aquila coltivato principalmente nell’altopiano di Navelli, gli arrosticini di pecora, gli spaghetti alla chitarra e il prestigioso vino Montepulciano d’Abruzzo.

Altri prodotti regionali riconosciuti ed apprezzati sono: l’Aglio rosso di Sulmona, il miele d’Abruzzo, il carciofo di Cupello, la carota del Fucino, la cicerchia, il farro, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, la mortadella di Campotosto, il peperone dolce di Altino e Serranella, la patata degli Altipiani d’Abruzzo ed in particolare la patata del Fucino, coltivata nella conca di Avezzano, il Salsicciotto di Guilmi. Nel vasto panorama dei salumi non va dimenticata la ventricina vastese e il lummello abruzzese, quest’ultima una vera specialità tutta casareccia della Regione Abruzzo. Secondo un’indagine svolta da Confesercenti-Ref condotta fra i turisti stranieri che scelgono l’Italia, la migliore cucina tra le cucine regionali italiane è proprio quella abruzzese.

Ventricina

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Iniziamo subito con un derby: la ventricina è un insaccato crudo di suino comune ad Abruzzo e Molise. Il nome è chiaramente un richiamo al ventre del maiale che viene utilizzato come involucro dell’impasto: sta di fatto che in Abruzzo la natura di questo impasto ha sostanzialmente due versioni differenti. A Vasto la ventricina ha una stagionatura di almeno 90 giorni, è di colore rosso brillante per via della polvere di peperone dolce e la percentuale di tagli magri (80%) è nettamente superiore alla quantità di grasso (20%) costituito da pancetta e grasso di prosciutto.

A Teramo la situazione è invertita, con preponderante presenza di grasso (60-70%), una stagionatura molto più breve e l’aggiunta di buccia d’arancia, aglio, rosmarino e pasta di peperoni. Così la ventricina vastese si mangia “a tocchi” mentre quella teramana si spalma – e c’è chi la definisce “la nutella salata abruzzese”. Un ottimo aperitivo rustico da gustare con un bel calice di Cerasuolo d’Abruzzo, il rosato da uve Montepulciano.

Pipindune e ove

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A chi non piace un po’ di colore nel piatto? Dalla provincia di Pescara, precisamente da Collecorvino dove ogni anno si tiene una sagra dedicata, arrivano i pipindune e ove. Piatto unico estivo, si tratta di peperoni fritti e uova sbattute, un trionfo di rosso, verde e giallo. Non propriamente leggero ma delizioso, questo piatto era la tipica colazione contadina, quella fatta a metà mattinata per prendersi una pausa dal lavoro nei campi: oggi è il protagonista dei pic-nic e delle gite fuori porta, soprattutto se utilizzato come ripieno per i panini.

Spaghetti alla chitarra

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I formati di pasta in Abruzzo sono talmente tanti che dovremmo fare una lista unicamente dedicata a loro. Diamo il via alle danze con gli spaghetti alla chitarra, pasta fresca all’uovo realizzata con l’omonimo attrezzo tradizionale abruzzese costituito da fili d’acciaio paralleli tesi su un’intelaiatura di legno. Pressando la sfoglia sulle “corde” della chitarra con il matterello si ottengono degli spaghetti a sezione quadrata con spessore e larghezza entrambi di 2-3 millimetri.

Formato particolarmente adatto ai sughi di carne, a Teramo non vi potete assolutamente perdere la chitarra con pallottine (polpette). La variante di pesce arriva da località marittime come Vasto e Ortona, che propongono la chitarra con pelosi (granchi), specialità quasi introvabile data la scarsità della materia prima. In qualsiasi tonalità vi assicuriamo che questa chitarra suona proprio bene.

Scrippelle ‘mbusse

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Sono arrivate prima le crêpes o le scrippelle? L’eterno dilemma rispecchia quello dell’uovo, ingrediente fondamentale in entrambe le preparazioni. In questo caso siamo abbastanza sicuri: le crespelle di Teramo derivano da quelle francesi, anche se ovviamente c’è chi sostiene il contrario. Leggenda vuole che all’inizio dell’Ottocento il cuoco Enrico Castorani stesse preparando le crêpes per le truppe francesi di stanza in Abruzzo ma al momento di servirle gli caddero nel brodo: nacquero così le scrippelle ‘mbusse, ovvero “bagnate”.

A differenza delle cugine d’oltralpe, le scrippelle sono un primo piatto strettamente salato, il cui impasto, a base di acqua, farina e uova, viene arrotolato, cosparso di pepe e pecorino (non Parmigiano, sia mai!) e appunto tuffato nel brodo, rigorosamente di gallina. Le scrippelle inoltre sostituiscono la sfoglia nel celeberrimo timballo alla teramana, piatto unico portato alla ribalta anche oltreoceano con il film del 1996 Big Night, i cui protagonisti, due fratelli emigrati negli USA dall’Abruzzo, fieramente dichiarano: “Lu timballo è nu tamburo e all’interno ci stanno tutte le cose chiù ‘bbone del mondo”. Chiariamolo subito, quel timballo ha ben poco a che vedere con quello teramano, tuttavia non facciamo fatica a credere a questa bella affermazione. Nella ricetta locale le scrippelle costituiscono gli strati, intramezzati da pallottine, sugo e formaggio – con tutte le varianti di caso, estro e disponibilità degli ingredienti. Insomma che siano sole o sovrapposte, le scrippelle spaccano di brutto.

Sagne e fasciul

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La versione abruzzese della pasta e fagioli, le sagne e fasciul sono un primo piatto della cucina povera che, in mancanza dell’uovo nell’impasto e della carne nel sugo, sopperiva al fabbisogno proteico delle classi sociali meno abbienti unendo legumi e cereali. Il formato della pasta ricorda dei piccoli rombi, da cui il nome sagne a pezze, che è tipico non solo dell’Abruzzo ma anche di altre regioni dell’Italia centrale. Tuttavia vale la pena menzionare due ricette protagoniste di feste e sagre nella provincia di Chieti: le sagn’app’zzat e salsiccia vengono celebrate l’11 agosto a San Giovanni Lipioni; le sagnë a lù cuttéùr vengono condite con salsicce di carne e fegato, pancetta e polvere di peperoncino e consumate con le mani in un mega rito collettivo a Castiglione Messer Marino. Da leccarsi le dita, non c’è che dire.

Mazzarelle

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Che ci crediate o no siamo ancora ai primi. Le mazzarelle sono la portata di carne che, durante il pranzo di Pasqua a Teramo, per l’occasione strizza l’occhio a paste e zuppe e si traveste da primo. Si tratta di involtini di coratella d’agnello avvolti in foglie di lattuga o indivia e legati con le budella che possono essere semplicemente soffritti oppure cotti in umido. Il preludio al trionfo di carni di pecora e agnello che seguirà a breve, sia qui, sia sulle tavole pasquali.

Rustell

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Ci sono azioni che gli esseri umani compiono automaticamente, vuoi per istinto, vuoi per cultura. Addentare un arrosticino fa parte di questa categoria: prima o poi lo abbiamo fatto tutti. I rustell sono gli spiedini di carne di pecora che regolarmente compaiono sulle griglie di tutta Italia: lunghi, stretti, da distribuire simpaticamente a mazzi, sembrano un elemento “scontato” ma non lo sono affatto. Le grandi discriminanti sono la produzione (industriale vs manuale, alternando pezzi magri a pezzi grassi), la tecnica di cottura (griglia generica vs fornacellaa canalina apposita) e il grado di cottura. Per non sbagliare (sempre sperando di non far indignare i nostri amici abruzzesi) seguite le nostre indicazioni.

Pecora alla callara/cottora

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La variante linguistica di questa preparazione è legata alla zona di provenienza, rispettivamente Teramo o L’Aquila. Questa ricetta tipicamente montana prende il nome dal contenitore in cui viene cotta (ne abbiamo parlato prima a proposito delle virtù) e sarebbe legata alla transumanza dei pastori che scendevano con le greggi dalle montagne abruzzesi per dirigersi verso le pianure pugliesi. La pecora stufata nel paiolo viene cotta per almeno quattro ore di modo che la carne si sfaldi fino quasi a sciogliersi, irrorata di vino, odori e spezie e tradizionalmente condivisa con tutta la comunità intorno alla callara stessa. Oggi questa occasione di consumo collettivo si limita a essere brevemente rievocata durante le numerose sagre in giro per l’Abruzzo: come sempre la magia scompare ma almeno il gusto rimane.

Capretto alla neretese

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L’amore degli abruzzesi per le carni ovine non si ferma certo alla pecora. Anche la capra è un secondo molto gettonato, in particolare a Nereto, piccolo comune nel cuore della Val Vibrata in provincia di Teramo. La ricetta tipica è, ça va sans dire, il capretto alla neretese cotto in umido con peperoni rossi, cipolle, pomodori e chiodi di garofano. Gustatelo al meglio seguendo la stagionalità del peperone che guarda caso, da Pasqua fino a settembre, corrisponde al periodo ideale per i pranzi all’aperto. Rustici e conviviali, non c’è occasione migliore per approfittare dell’ospitalità caratteristica abruzzese.

Cif e ciaf

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A forza di descrivere piatti tipici in giro per l’Italia lo abbiamo detto e ridetto fino allo sfinimento: del maiale non si butta via niente. E questo è vero anche in Abruzzo dove ciò che resta del povero suino, una volta macellato, frollato, insaccato, affumicato e chi più ne ha più ne metta, viene rosolato in padella con olio, aglio e qualche odore. E indovinate un po’ che rumore fa? Esatto, cif e ciaf, la sfrigolante onomatopeica che dà il nome a questo piatto. Che, come spesso accade nella tradizione contadina, è insieme povero e ricco: povero per la qualità più bassa degli ingredienti, fondamentalmente gli scarti dell’animale; ricco perché simbolo di convivialità e perché, diciamocelo, quale piatto a base di maiale non è incredibilmente gustoso? Questo poi fa venire l’acquolina in bocca ancora prima di assaggiarlo: basta tendere l’orecchio e farsi invogliare dal suono inconfondibile.

Ciammariche al sugo

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Le lumache in Abruzzo sono una leccornia, dall’entroterra alla costa. In dialetto si chiamano ciammariche e sono particolarmente gustose cotte in umido con olio, aglio, peperoncino e sugo di pomodoro. Buonissime da sole come antipasto o secondo, si possono accostare anche a primi come gnocchi e tagliatelle. Una versione per così dire “costiera” del piatto si può realizzare con li bummalitt, le lumachine di mareche per aspetto, assonanza e modalità di consumo ci ricordano i babbaluci siciliani, must dello street food palermitano. La pesca tradizionale avveniva con degli attrezzi specifici chiamati “cerchietti”, sui quali le lumachine potevano depositare le uova fecondate. Oggi il processo di raccolta è industrializzato, ma per fortuna la ricetta è rimasta invariata: saltate in padella con aglio, olio, rosmarino e vino bianco, si gustano come snack sul pane tostato o semplicemente infilzate una a una con lo stuzzicadenti.

Brodetto di pesce

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Apriamo un’altra grande diatriba, stavolta sul versante marino. Il brodetto di pesce è un tipo di preparazione comune a tutta la costa Adriatica: in Abruzzo le versioni più conosciute sono quella alla pescarese e quella alla vastese. Solo un’ora di macchina separa le due località, eppure la stessa preparazione non potrebbe avere due declinazioni più diverse. A Pescara lu brudett si fa con il pescato di zona ma senza usare il pesce azzurro, non c’è aggiunta di pomodoro, è previsto il soffritto di peperoni secchi in olio e durante la cottura il tegame rimane aperto. A Vasto per lu vrudàtte il pesce viene cucinato intero (almeno sei varietà pescate tra Ortona e Vasto) e si fa largo uso di ortaggi, quali pomodoro, peperone, aglio e peperoncino. Inoltre non viene utilizzato il soffritto, né vengono aggiunti acqua, brodo o aceto, e il tegame (coccio) non deve mai essere aperto, piuttosto scosso delicatamente per evitare che il pesce si attacchi al fondo. Viene servito con pane o con l’aggiunta di pasta. Un piatto che praticamente si è fatto da solo (ed è venuto benissimo).

Pizzelle

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Ma anche neole, ferratelle, catarrette, cancellate, nivole, zimmelle, nievole, cancelle, scarzelle, coperchiole, ciarancelle… Le pizzelle sfuggono le maglie della definizione e si ribellano al sistema, tuttavia la sostanza rimane (quasi) la stessa. Queste cialde sottili di pasta da biscotto vengono cotte tra due piastre arroventate che danno loro la caratteristica forma attraversata da nervature che ricorda una cancellata. I “waffles abruzzesi” (sì, lo sappiamo che è quasi un peccato mortale definirli tali) sono il classico dolce da festa patronale e, oltre alle differenze linguistiche, presentano tutta una serie di toppings che variano a seconda dei luoghi: miele e noci, marmellata di uva, mosto cotto sono tra i più comuni. Gustatelo, se volete, mentre vi fate una bella partita a nomi-cose-città.

Cicerchiata

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Queste deliziose palline di pasta appiccicose sono il dolce carnevalesco che crea dipendenza. Simile agli struffoli napoletani ma di dimensioni più ridotte, la cicerchiata abruzzese è costituita da un impasto a base di farina, uova, olio e zucchero da cui si ricavano delle sfere di 1-2 cm di diametro che vengono tuffate nell’olio caldo e poi cosparse di miele bollente. Una volta solidificato, questo profumatissimo agglomerato di palline viene decorato da mandorle o sprinkles colorati e se ne sta lì, quatto quatto, ad aspettare che qualcuno cada nella tentazione di assaggiarne una (soltanto una!). Da quel momento in poi è troppo tardi, non ci si ferma più.

Caggionetti

Italian-Sceff-Caggionetti

Ma anche calgionetti, caggiunitt’, cagionetti, calcionetti. Questi ravioli fritti dall’impasto a base di farina, olio e vino bianco sono tipici dolcetti natalizi ripieni delle più svariate bontà. A Vasto ad esempio si usano ceci o castagne con mandorle, miele e cannella; a Teramo si aggiungono anche cioccolato fondente, rum e buccia d’arancia; a Ortona e Chieti non ci si risparmia con la marmellata di uva Montepulciano detta scrucchijate. Chiamateli come volete e scegliete il ripieno che vi stuzzica di più: talmente buoni che non c’è pericolo di sbagliare.

Parrozzo

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L’altra faccia del Natale è a Pescara in cui è tradizione brindare con una bella fetta di parrozzo, il dolce da pasticceria di ispirazione contadina. Il parrozzo nasce nel 1920 da un’ispirazione del pasticcere Luigi D’Amico che decise di ricreare, in versione dolce e festosa, il pan rozzo contadino, una sorta di pagnotta a base di farina di mais. Impastando semolino o farina di mais con zucchero, uova, mandorle tritate e buccia di arancia creò questo dolce di forma semisferica che ricoprì di cioccolato, facendo il verso alla crosta bruciata del pane cotto a legna.

Fonte: dissapore